La prima intervista del Pres. Bonetti

Resto del Carlino Bologna, 14 aprile 2019 – «Trasmettere ai più giovani i valori del lavoro di squadra, del divertirsi in compagnia e del rispetto reciproco, attraverso l’antica tradizione campanaria che si tramanda da generazioni». Questo l’obiettivo di Stefano Bonetti che, a soli 39 anni, è stato eletto nuovo presidente dell’Unione campanari bolognesi. Nata il 21/04/1912, l’associazione si propone di tenere in vita l’antica tradizione della città.

Cos’ha di così speciale questa tradizione?

«È la tecnica che usiamo, ci fa sentire un tutt’uno con la campana. È speciale perché è solo nostra, anche se molti hanno preso ispirazione, soprattutto in regione. Restiamo comunque gli unici a suonare la campana corpo a corpo, cercando di governarla, è una sensazione incredibile».

Cosa sente mentre la suona?

«È come vincere una gara di moto gp, riuscire a controllarla è una questione di impegno, concentrazione e tanta esperienza, non si finisce mai di imparare. Io suono da 25 anni e penso di avere ancora tanta strada da fare».

Cos’ha provato quando ha suonato per la prima volta?

«Avevo 14 anni ed ero in processione a Poggetto, il paese dove vivevo, quando ho visto gli antichi maestri campanari suonare. Una grande curiosità mi ha spinto a provare e così mi sono avvicinato e ho chiesto se potevo suonare con loro. Inizialmente ero intimorito dalla campana che oscillava, poi sono riuscito a controllarla e mi sono venuti i brividi. Da quel momento ho suonato più di 400 campane, sparse in tutta la regione… sai, noi campanari teniamo il conto. Non puoi far altro che innamorartene».

E oggi sente le stesse emozioni?

«Certo, quando inizi a suonare non smetti più. Io faccio il metalmeccanico, un lavoro faticoso, e per me la campaneria è una disciplina che mi permette di staccare la spina. Certo, anche suonare le campane richiede un certo sforzo, ma se fatto con piacere e in compagnia può regalare soddisfazioni incredibili».

Come presidente quali obiettivi si pone?

«Mantenere la tradizione viva, in primis. Non possiamo perdere i valori che da generazioni trasmettiamo attraverso quest’antica disciplina. Per farlo abbiamo bisogno di avvicinare i giovani. Abbiamo provato a girare per le scuole per far conoscere quest’arte e invitare i più piccoli a provare».

Quale è stato il risultato?

«Fino a qualche anno fa l’unione contava moltissimi allievi. Per loro, l’accademia campanaria è stata una sorta di scuola di vita dove imparare il rispetto per chi ha più esperienza. Il rapporto fra maestro campanaro e allievo è fondamentale, solo ascoltando, osservando, con pazienza e generosità, un giovane può apprendere da chi ha imparato quest’arte molti anni prima. Oggi è più difficile avvicinare i giovani; i tempi sono cambiati e le antiche tradizioni stanno morendo e con loro tanti valori importanti. Ma noi non ci arrendiamo, la tradizione campanaria è fondamentale per questo territorio in quanto strumento di aggregazione e socialità».

E allora, come diffondere questi valori?

«Facendo capire alla gente quanto sia appagante suonare in squadra, tutti insieme, con spirito di solidarietà e partecipazione».